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148 PREFAZIONI E POLEMICHE
II
In quelle poche righe che vanno in fronte al primo tomo,
ho già accennate le ragioni per le quali questo mio dizionario
si debbe avere per molto migliore che non alcuno di quelli che
l’hanno precorso; né sarebbe cosa bella ripetere qui in italiano
quello che già s’è detto in inglese. Nulladimeno, per non privare
questo tomo del solito ornamento d’una prefazione, farò qui
quattro parole della lingua di quest’isola, a fine d’incoraggiare
i miei paesani a studiarla a forza e a farsene bravamente
padroni.
Anch’io, insieme con molti de’ nostri letterati italiani, m’immaginava
un tempo che l’affaticarsi ad apprendere lingue viventi
fosse un’opera quasimente perduta, né mi opponeva troppo
volentieri a certe buone persone le quali, con più che magistrevole
contegno, usavano spesso ripetermi che le due lingue
morte insieme con la viva nostra bastavano ad informare gli
uomini di tutto quello che agli uomini occorre sapere. Avanzando
poscia alquanto con gli anni, parevami che l’arricchirsi ancora
della francese fosse il non plus ultra d’ogni galantuomo; e dopo
d’aver letti Montagne, Pascale, Malebranche, Cornelio, Molière,
La Fontaine e alcuni altri conosciutissimi scrittori di quella
nazione, m’era fitto in capo che nulla più si potesse trovare
in una moderna favella veramente meritevole dell’onorate vegghie
d’una persona studiosa.
Ma molto piacevolmente m’avveddi essermi ingannato a partito,
allora che mi trovai mediocremente mastro del britannico
parlare. Oh, quante belle e grandi cose, paesani miei, ho lette
in questi libri, che non si leggono in quelli d’altre genti! Passerò
in silenzio un Hooker, uno Scot, un Clarice, un Bentley, uno
Stillingfleet, un Tillotson e centinaia d’altri loro teologi e sacri
oratori, che, valorosamente battagliando contra i numerosi scredenti
del loro e d’altri paesi, hanno in mille modi e poco meno
che con geometrica evidenza provata la verità della religione
rivelata, cosi che hanno costretti gli ateisti e i deisti a rifuggirsi