Pagina:Baretti - Prefazioni e polemiche.djvu/159

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negli Sterili deserti dell’ ignoranza, o a nascondersi nelle caliginose cave della mentecataggine. Non dirò verbo de’ loro filosofi e cercatori diligentissimi della natura, come a dire un Bacone, un Boyle, un Newton e tant’altri scrutinatori dell’uomo e dell’altr’opere della mano onnipotente. Lascerò indietro i loro tanti moralisti, i lor politici, gí’ istorici e cronologisti loro, i meccanici numerosissimi, e farò solamente alcune poche parole de’ loro poeti, perché «questo è l’umore dov’io pecco», per servirmi d’un modo di dire del nostro Derni. Quanta carta però non mi converrebbe scarabocchiare f)er darvi solo una malabbozzata idea d’uno Shakespeare, d’uno Spencer, d’un Milton, d’un Dr\-den e di molt’ altri divini spiriti, che accozzando, chi piú chi meno, alla schiettezza della poesia greca la venustá de’ latini, la vaghezza degl’italiani e la nitidezza de* francesi con la robustezza e fantasticaggine della Sassonia e delle Gaule, hanno prodotta una maniera di pensar poetico, della quale noi, successori del Lazio e imitatori di quegli antichi dell’Acaia, non ci curiamo ancora quanto dovremmo fare, contentandoci troppo mansuetamente che i nostri poeti abbiano con iscrupolosa industria modellati i pensieri loro e il loro modo di poetare sugli esemplari greci e latini. Pur troppo è vero! Noi non sappiamo quasi che questi arditi e liberi isolani hanno fatto un cosi maraviglioso impasto d’immagfini orientali e settentrionali, e che hanno creata questa rara poesia, alla quale i verseggiatori della Senna e i poeti dell’Arno darebbono molto altissimo luogo nel concetto loro, se da buon senno l’apparassero. Che non poss’io tradurre soltanto un paio di scene di Shakespeare o uno squarcio solo di Milton, e dare una esatta copia della elevatezza, della baldanza e della impetuosa e nobil furia degli originali? Ma, o sia ch’io non abbia bastevole perizia della lingua nostra, o sia che la lingua nostra non abbia nervi e muscoli abbastanza, io non mi ci so arrischiare. Vedo bene i frutti sull’albero, e vedo che sono poma d’oro da far gola a chiunque; ma il terribile genio di tramontana che li guarda non mi lascia stendere la vogliosa mano a ricoglieme pure un panierino; onde quando me ne tornerò alla mia contrada, sará pur mestieri che i miei