Pagina:Baretti - Prefazioni e polemiche.djvu/25

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LETTERA SECONDA


Ora che vi ho detto l’oltraggio che mi ha fatto prete Biagio, sentite mò la piacevole vendetta che ne ho fatta io. Ma sono certo che la non vi farà tanto ridere, quanto vi avrebbe fatto ridere se foste stato presente alle due commedie che mi dispongo a raccontarvi. Oh se vi foste stato, vi so dir io che anche voi vi sareste scompisciato dalla risa, come hanno fatto alcuni che vi furono presenti.

Quando io ebbi ben bene squadernato il sonetto critico e fattolo squadernare da alcuni, come già vi dissi nell’altra mia, e che da tutti fu conchiuso che era sicuramente dello Schiavo, la sera seguente me ne andai alla bottega di Menegazzo, dove trovai la solita conversazione dello Schiavo, d’un suo cherichetto che si chiama Zanetti (il quale mangia, bee e dorme con esso lui) e di sei o sette altri. Fatti che io ebbi i convenevoli con tutti, mi posi a sedere a faccia a faccia al molto reverendo prete, e cavata fuori la lettera orba — Signori — dissi, — ve ne voglio raccontare una bella; ed anche Vossignoria, signor dottore Schiavo, si compiaccia sentirla. Ella che s’intende di queste cose di poesia. Caro il mio dottissimo signor dottore, vediamo un po’ insieme se potessimo conoscere allo stile l’autore di certi versi che stanno scritti in questa carta. — Il buon vecchio, sentendo intuonare questo salmo e già indovinandosi il gloria, cominciò a impallidire e a stringere le labbra, e mi volle dire non so che parole d’un mio amico che gli aveva scritto da Roma; ma la voce gli tremolava in modo che né Farinello né Salimbeni non fecero mai più lunghi trilli di que’ ch’e’ fece dicendomi quelle poche parole; ed io, che non voleva per allora quella zolfa e che non mi voleva lasciar interrompere, interruppi lui dicendo: — Eh! già lo so, già lo so, che quell’amico le ha scritto: ora senta anch’Elia, signor dottore, quello che