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le miserie, a gran pezza più gravi, dei
servi della gleba a delle mani morte, taglieggiabili a misericordia,
cioè, a dire, fin dove piace ai nostri magnifici signori di aggravare
il summum jus del loro talento. E servi, come siamo, tenteremmo di
pareggiarci ai nostri padroni, di entrare, puta caso, in parentado con
essi? Alla men trista, se siamo giovani, di bell'aspetto e di buona
voglia, possiamo riuscire donzelli, o scudieri, meritarci le grazie
segrete d'una annoiata castellana e le segrete prigioni e i
trabocchetti d'un castellano rabbioso. Ora, io non son bello, nè
giovane, e non ho voglia di mettermi in questi ginepreti. Il mio
esempio t'insegni; la mia filosofia ti persuada, o Giacomo Pico, e ti
basti l'essere meglio accetto di me, ma sempre come soggetto, ai
signori del luogo. A noi tocca di obbedire, e gran mercè se si può
farlo men che si può. I nostri diritti di signori esercitiamoli sui
casolari; non c'impuntiamo a voler l'impossibile. Di belle ragazze, e
meglio in apparenza che non sia la giovine castellana, è pieno il
Finaro. Vedi, a me piace due cotanti di più la Gilda, la nipote di
mastro Bernardo; e se non fossa che le buone grazie di madonna Bannina
e della sua smancerosa figliuola l'hanno fatta montare in superbia....
— Anche su quella avevi posto gli occhi? — dimandò Giacomo Pico,
meravigliato di tanta facilità amatoria del suo faceto compagno.
— Sicuro; e perchè no? — disse a lui di rimando il Sangonetto. — Sono
uomo libero in ciò, e dove mi vien fatto darla ad intendere, pianto a dirittura le insegne.
— Sta bene; notò Giacomo Pico, stringendosi nella