Pagina:Barrili - Galatea, Milano, Treves, 1896.djvu/249

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cissimo; e con la furia che metto sempre in tutte le cose mie, decido di non fare più altro, mattina e sera, che scherma ed esercizio di pistola. Filippo non desidera altro; è nel suo elemento. Molle di sudore, mi rasciugo, come Carlomagno dopo le sue cacce d’Aquisgrana; depongo l’umida maglia, ne indosso un’altra, e tutto il rimanente, per andare con Filippo al sorbetto serale. Un po’ tardi, però, troppo più tardi del solito; e la cosa è notata dalle signore, con accento di cortese rimprovero.

— Il mio ospite fa versi; — risponde Filippo; — ed io gli faccio la corte, leggendoli.

— Ma non tutto il santo giorno; — osserva il commendator Malteini. — Quest’oggi, passando davanti al Giardinetto, ho sentito spari su spari; tanto che a tutta prima ho pensato ad una infrazione dei regolamenti, non essendo ancora aperta la caccia.

— Io avrei il patentino, se mai; — rispose Filippo. — Ma nel fatto, non si cacciava; ero io, che, non avendo un poema da scrivere, facevo i miei quattro colpi quotidiani al bersaglio.