Pagina:Barrili - I rossi e i neri Vol.1, Milano, Treves, 1906.djvu/191

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commedie villerecce, fatto con erbosi rialzi di terra, siepi di bosso e quinte di alloro. Colà gli opulenti abitatori non avevano certo da rimpiangere la città, e la presenza degli amici consolava della mancanza di tutti quei visitatori, spesso molesti, che tira ai fianchi la consuetudine del vivere cittadino.

Un’altra usanza, stabilita in casa Vivaldi dalla marchesa Tullia, bisavola di Ginevra, e famosa nelle memorie nostrane per la sua stupenda bellezza e per l’ingegno che ebbe grandissimo su tutte le donne ed anco su molti uomini colti del suo tempo, era quella delle due feste da ballo.

Le sale di casa Vivaldi erano aperte ai visitatori consueti in tutte le sere di martedì; ma la gran sala, la sala massima, era illuminata soltanto due volte all’anno, la prima sul cominciare del carnevale, la seconda in primavera, e in quelle due occasioni si facevano inviti formali.

Erano quelle feste come il primo saluto e l’addio, l’ave e il vale della famiglia agli amici suoi e a tutte le sue aderenze cittadine. E in quella guisa che erano solenni, così attiravano tutta la nobiltà mascolina e femminile, e l’alta borghesia mascolina della città. Le signore della borghesia non erano invitate, salvo il caso che fossero nate nobili, o avessero trentasei quarti di bellezza e ricchezza, che possono ben tener luogo di stemma gentilizio.

Delle due feste da ballo di casa Vivaldi si usava parlare per tutta Genova molte settimane innanzi. Erano solennità a cui bisognava prepararsi, i mariti con un esame di borsa, le mogli con una conferenza dalla sarta. In quelle sere poi che si ballava in casa Vivaldi, i palchetti del teatro Carlo Felice erano quasi tutti deserti delle solite deità femminili. Le signore che andavano al ballo dovevano acconciarsi; quelle che non ci andavano, dovevano far credere che ci andassero. Le feste di casa Vivaldi erano eventi strepitosi; nè una gran dama, nè un giovanotto elegante, nè altra persona per la quale, potevano ignorarne impunemente i più minuti particolari.

Il marchese Antoniotto della Torre, marito della Ginevra, aveva rispettata la consuetudine della famiglia, e la considerava come un canone appiccicato a quella grossa eredità che era venuta in sue mani. Però faceva le cose da gran signore, sicchè molti vecchi dimenticavano il fasto dell’ultimo marchese Vivaldi, che pure, in quelle due solennità dell’anno, era splendido al pari de’ suoi antenati.

Ora noi chiediamo a tutti quei lettori che si ricordano delle feste di casa Vivaldi: poteva la contessa Matilde Cisneri, poichè