Pagina:Barrili - I rossi e i neri Vol.1, Milano, Treves, 1906.djvu/221

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volume di capegli, avrebbe potuto argomentar di leggeri che se Domineddio ne avesse fatto copia ad Eva, la madre del genere umano non sarebbe andata a limosinare le foglie di un albero per coprirne la sua nudità vergognata. Si aggiungeva che quella necessaria acconciatura faceva portare alla marchesa Ginevra il capo mollemente chino: il quale atteggiamento, tra per l’alta statura e per la sciolta eleganza del collo, le conferiva maggior leggiadria.

Le ciocche al sommo del capo, lievemente increspate, si stendevano sulle tempia e si ripiegavano in due lisce staffe un po’ sopra gli orecchi, senza coprire gran parte della fronte, dove spaziava l’arco maraviglioso delle sopracciglia, ombreggiando gli occhi verdi, grandi e dolcemente allungati, i quali, dando anche essi ragione al Pietrasanta, assumevano tutti i riflessi. Il naso, sottile senza dar nello smilzo, diritto e giustamente riciso, lasciava al tutto scoperto il labbro superiore, voluttuosamente rilevato, il quale sorridendo infossava leggiadramente le guance e faceva apparire per quel breve spiraglio due file di bianchissimi denti, che si potevano più acconciamente paragonare al candore della madreperla che a quello dell’avorio. Il mento ovale, severamente scolpito, significava saldezza di propositi, in rispondenza col diritto profilo della fronte.

Da quel mento e dagli orecchi, piccini ed aggraziati che parevano una miniatura, nè avevano voluto essere forati nè profanati dalla selvaggia costumanza dei ciondoli, scendiamo al collo svelto e tondeggiante, che portava tutto intorno disegnata quella ruga sottile, simbolico cinto della bellezza, di cui le nostri Veneri insuperbiscono più assai che di un vezzo di gemme. Gli omeri, non molto rilevati, scendevano dalle radici del collo con una curva delicata che dava alla persona un’aria di somma dolcezza, in contrasto col mento reciso e colla fronte diritta. Ma appunto da simili contrasti scaturisce l’armonia di una bellezza suprema.

Così il seno, che un poeta classico avrebbe battezzato acerbo, non dimenticando il solito paragone con le fragranti mele appie, era un miracolo di casti contorni, e la sua bianchezza non appariva punto sopraffatta da una collana di perle a cinque filze, dall’ultima delle quali pendevano altre perle più grosse, allungate a forma di gocciola, dai bei colori iridescenti.

Quel viso e quelli ornamenti, le carni, le labbra, gli occhi, la collana, tutto era una perlagione, tutto si disposava armonicamente, tutto concorreva a produrre un effetto profondo,