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— Lui, lui, che era venuto, per maggior cautela, ad aspettare con me l’esito del colpo nella casa del Ceretti.

— Del Ceretti? Chi è costui?

— Il padrone della casa ove abitano i Salvani.

— E come c’entra che il tuo gesuita avesse posto colà il suo quartier generale? —

Messo per tal modo alle strette, il Bello raccontò per filo e per segno ogni cosa. Tanto, poichè aveva cominciato, meglio valeva il finire, e mettersi quanto più poteva in grazia a quei due, non giudici, animali feroci.

Così narrò dell’Arturo Ceretti, di quel Ganimede da dozzina, e delle pretensioni che aveva presso la sorella adottiva di Lorenzo Salvani; come fosse respinto da lei e picchiato dal servo Michele; come questi avesse cantato, ed egli, Garasso, per far servizio al gesuita, gli avesse recato in mano quest’altro filo della sua trama tenebrosa; la quale doveva riuscire al colpo della falsa perquisizione e al furto della cassettina d’ebano.

Ma qui si fermavano le notizie del Bello. Egli non sapeva che diamine di segreto si racchiudesse in quel cofanetto; padre Bonaventura lo aveva preso dalle sue mani, e se n’era andato sollecito. Nè altro sapeva della fanciulla, nè della signora che era andata in quella medesima notte a levarla di casa. Ogni più ragionevole congettura faceva credere che il vecchio suo compagno fosse il gesuita medesimo, o che per lo meno quel secondo colpo fosse una conseguenza del primo; ma questo poteva argomentare facilmente di per sè il Giuliani, senza mestieri delle induzioni del Bello. Questi infine non sapeva altro; lasciato il padre Bonaventura, congedati gli apocrifi carabinieri, se n’era andato pe’ fatti suoi, a vedere i suoi amici politici, perchè egli in fondo in fondo era un buon patriota (diceva lui) e se per sue strettezze domestiche avea fatto quella azionaccia, della quale si pentiva amaramente, era nondimeno devoto alla buona causa, e voleva fedelmente servirla.

A quest’ultima dichiarazione del Bello, i suoi ascoltatori diedero ambedue in uno scroscio di risa, che lo fece rimanere sconcertato e confuso.

— Basta; — soggiunse il Giuliani, dando sulla voce a lui, che umilmente cercava di scolparsi; — questo non è affar nostro, e ne sappiamo quanto occorre.

— Se mi verrà fatto saper altro.... — balbettò allora il Bello. — Se mi verrà fatto....

— Ce lo direte, Garasso, non ne dubito; poichè, a tenervi