Pagina:Barrili - Tizio Caio Sempronio, Treves, 1877.djvu/9

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popolo, o per lo meno veduto le sue bizze domestiche con una lente d’ingrandimento.

Ma non ci perdiamo in chiacchiere. Se vi piace, siamo all’anno 703 ab urbe condita, sotto i consoli Servio Sulpicio Rufo e Marco Claudio Marcello, egregie persone, di cui non so dirvi altro che il nome. Consoliamoci insieme, pensando, che essi importano poco al nostro soggetto.

Tizio Caio Sempronio era un gentil cavaliere, e bello, per giunta, come un dio di fabbrica ellèna. Si diceva che sua madre lo avesse concepito dopo essersi fortemente commossa alla veduta di una statua di Scopa. Aveva i capegli biondi e riccioluti, diritto il naso, breve il labbro supcriore, il mento rotondo, l’orecchio piccolissimo; insomma, tutte le bellezze d’Apollo. E quando andava a diporto per la via Lata, o per la Flaminia, colle sue listerelle di porpora (clavus angustus) che scendevano parallele sul davanti della tunica, ed erano il contrassegno del suo ordine, gli facevano l’occhiolino le matrone, dal fondo delle loro lettighe, e gli uomini s’inchinavano, o si recavano la mano al cappello, secondo che andassero a capo scoperto, o portassero il pètaso.

Gli uomini non lo onoravano già per la sua bellezza, s’intende; che anzi avrebbero dovuto invidiarlo o scoccargli un «i in malam crucem» dal profondo dell’anima. Queste delicatezze gli uomini ce le avevano in corpo fin da quell’ora; tanto è vero che la civiltà è antica e i suoi primordii si perdono nella notte caliginosa dei tempi.