Pagina:Bartoli - Dell'uomo di lettere I.djvu/12

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Il gusto dell’intendere, spiegato, per saggio dell’altre Scienze, nella sola cognizione de’ Cieli.


Insegnamento commune delle due più celebri scuole, di Pitagora e di Platone, è, che le sfere de’ Cieli, crescendo l’una sopra l’altra con ispazi d’armonica proporzione, nel girarsi che fanno, conpongano il conserto d’una perfettissima musica. Ne rende Macrobio la ragione, tratta da’ principi naturali del suono; indi conchiude: Ex his inexpugnabili ratione collectum est, musicos sonos de sphærarum coelestium conversione procedere; quia et sonum ex motu fieri necesse est, et ratio quoe divinis inest, fit sono causa modulaminis. Né perché di cotal musica giudici non sieno i nostri orecchi, dee perciò ella o men credersi, o negarsi; conciosiccosaché quel dilicatissimo suono al tocco de gli elementi, s’ammorzi ed ammutolisca, e ivi più, dove lo strepito più s’inalza. Perciò non fu mal detto da un mio Compatriota, ristampato ingiuriosamente sotto il mio nome: Muto non è, com’altri crede, il cielo:

Sordi siam noi, a cui gli orecchi serra
Lo strepito insolente de la terra;
Fra le cui dissonanze in van s’aspira,
A l’armonia de la celeste lira,
Che si tocca per man del Dio di Delo.

Se già non fosse, come avvisa Filone, che Iddio, riserbandoci a miglior tempo il gusto di musica sì soave, ci abbia intanto con particolar providenza distemperati e assordati per essa gli orecchi: altrimenti, dall’armonia di que’ regolatissirni corpi, rapiti fuor di noi stessi, sospesi ed estatici staremmo, non che non curanti del cultivamento della terra e de’ negozj della vita civile, ma