Pagina:Bartoli - Dell'uomo di lettere I.djvu/56

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letterato qual nicchia avrà egli, qual Corte? Nerone Musico, in mezzo a’ Cantori, in sembiante d’Apollo, fra le Muse: Elio Vero Luperadore di vento, in abito d’Eolo fra Cortigiani vestiti chi da Austro, chi da Zefiro, chi da Borea. Un saggio Principe, fra saggi Cortigiani compajá, come fra le Sirene che col canto rapiscono i Pianeti, il Sole detto da Cleante lor Plettro, perché alle regole del suo tocco le armonie delle loro cetere s’accordano.

Che se del Cielo quasi d’una Corte cantando Manilio disse, Sunt stellæ procerum similes etc., e all’Imperador Giuliano il Sole parve essere un Re, intorno a cui i Pianeti ossequiosi s’aggirano; chi ne vieta chiamar la Corte un Cielo, un Principe, in cui sia e la luce del sapere e il candore del potere, un Sole fra tante stelle, quanti dotti uomini ne’ savi discorsi da lui ricevono luce, e a lui con iscambievole illuminazione la rendono? D’altra verità e d’altro pregio è questo, che il finto e materiale Cielo di Cosroe Re Persiano, che negli archivolti d’una gran camera, dipinti cone a ciel sereno d’un puro cilestro, seminati di stelle d’oro, e divisati con certe sfere movevoli, l’una nell’altra ordinatamente commesse, rassembrava tutta la gran mole dell’universo; in mezzo della quale il barbaro più come un ragno nel centro della tela da sè lavorata, che come Monarca in mezzo al mondo, oziosamente sedeva.

Seneca non ha concetto, con che esprimere più beato il suo Giove, che mettendolo in mezzo a gli Dei della sua Corte, quasi un Sole in un cerchio di specchi di diamante, dove, con le vicendevoli trasfusioni de’ raggi di lui in tutti e di tutti in lui, la luce del privato sapere di ciascuno si fa publica a tutti, e quella di tutti si fa privata di ciascheduno. Che se Giove d’alto calasse gli occhi qua giri alla saggia Corte d’un Principe letterato, direbbe o per istupore o per piacere, come quando vide tutto il Mondo espresso nella piccola sfera del grande Archimede; dove