Pagina:Bartoli - Dell'uomo di lettere II.djvu/12

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tenta di volare in cielo che chi si contenta di caminare in terra, pure quel mgnis tamen excidit ausis ha tanto del glorioso, che la lode d’esser salito vince di lunga mano il biasimo d’esser caduto. E ancora oggidì il generoso ardire del giovane Icaro, che volando s’avvicinò alle stelle, ha più ammiratori della salita che non ha schenitori della caduta.

Stivæque innixus arator

Vivit, et obstupuit; quique æthera carpere possit,

Credidit esso Deum.

Ed io per me, vedendo che senza o caduta o inciampo, mal si può ire ancor per la calcata (già che in molte cose, il nostro sapere è più credere, che sapere; è più non vedere gli errori che abbiamo, che non averli), hi nelle lettere il senso, che per altro avea quell’amico di Seneca: Si cadendum est mihi, coelo cecidisse velim. Vorrei che i nostri ingegni fossero co’ nostri pensieri come l’Aquile co’ loro pulcini, che, ancor prima che abbiano messe tutte le penne e fermate sicuramente l’ali al volo, li caccian dal nido, perch’ escano alla caccia; come se dicessero: Siete Aquile oramai del tutto impennate, e ve ne state qui neghittose a covare il nido? Avete artigli e becco, e non vi vergognate di prendere come pulcini di Rondini, l’imbeccata? Ite alla caccia, e trovatevi da voi, stesse il vivere ché per questo avete l’armi in pugno, per questo siete Aquile.

Ogni altro pensiero, che non mirasse a ritrovar nelle Lettere nuove cognizioni Ippocrate lo stimava fuori del segno, dove debbon tirare tutte le linee del loro studio i Letterati. Non volea che si raccogliessero gli avanzi de’ morti Scrittori, quasi bona naufragantium; ma che sì facesse vela all’acquisto di nuove mercatanzie, onde riuscisse e il mondo più ricco e noi più gloriosi. Mihi vero invenire alilquid corum, quæ nondum inventa sunt, quod ipsum notum, quam occultum esse præstet, scientiæ votum, et opus esse videtur.