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Pagina:Bartoli - Dell'uomo di lettere II.djvu/130

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130 dell’uomo di lettere

24.

Apparecchio della materia, che chiamano Selva.

All’argomento trovato, alle parti disposte, vien dietro il comporre: che è impolpare l’ossa, e farne d’uno scheletro un corpo.

Ed eccovi su le prime un’ordinario errore di chi, non portando a tal lavorio altro che un foglio bianco, la penna, e il suo cervello, vuole in un tempo medesimo e Trovare e Disporre e Comporre, attendendo tutto insieme alle Cose, all’Ordine, e al Modo; come s’egli fosse un Sole, che per dipignere in una nuvola un’Iride, senza svario nel cerchio, senza disordine ne’ colori, non ha di bisogno che di mirarla, e con ciò stendervi il pennello d’un raggio, col quale in un momento la disegna e colorisce.

A costoro, mentre masticano la penna, mirano il tetto, e ronzando come Calabroni borbottano fra di sè, mettendo in carta principj senza fine, con trovarsi nell’ultimo della fatica da capo, quanto a tempo farebbe chi suggerisse all’orecchio per beffa e per avviso quel comunissimo assioma, che dice: Ex nihilo nihil! Voi pretendete, che vi piova oro dal capo, dove non ne avete miniera; e di più, che vi venga battuto in moneta di peso, e con impronta di legittimo conio: così in un medesimo tempo volete fare l’Alchimista, il Saggiatore, il Zecchiere, il Tesoriere, il Principe, ogni cosa: che appunto è la vera maniera per non far nulla. Ne igitur resupini, respectantesque tectum, et cogitationem murmure agitantes, expectemus quid obveniat1. Imaginatevi, che il lavorare un componimento sia fabricare una casa. Non basta aver pianta e modello, se mancano e pietre e calcina e travi e ferramenti. Dunque Sylva rerum et sententiarum paranda est: ex rerum enim cognitione efflorescere debet et redundare oratio2.

Chi non ha in capo una viva libreria raccolta con istudio

  1. Quintil. lib. 10.
  2. Cic. 3. de Orat.