Pagina:Bartoli - Dell'uomo di lettere II.djvu/47

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e- uccidendo in un suo parto sé stesso, perdendo con voliontario rifiuto quella vita che sola tien vivo dopo morte, dico la fama ne’ posteri: di questi due spettacoli io non so qual più volentieri vedessi; e forse mi parrebbe più lieve, per espresso ordine di Dio, Padre de’ non nati e Vita de’ morti, uccidere un figliuolo che si generò con diletto e può risorgere con miracolo, che alla segreta voce dell’occulta favella con che Dio parla a’ cuori abbruciare un suo libro, che in concepirlo, in partorirlo, in allevarlo costò più fatiche che non ha sillabe. E che? L’amore della gloria, e la speranza di trovar nome d’ animo invitto, non mossero Bruto a condannare a morte gli stessi suoi figliuoli ribelli alla patria, nimici del publico bene? Volle condannarli come Consolo, non liberarli come Padre, Et exuit Patrem, ut Consulem ageret. Gli sofferse il cuore di vederli legati al palo, giovani di bellissimo aspetto, e basta dire figliuoli: Et qui spectator erat amovendus, eum ipsum Fortuna exactorem supplicii dedit. Ma egli ne poteva di meno: Chi dunque gli temperò sì duro il cuore, o chi gliel cavò per quel tempo, mentre e comandò e mirò intrepidamente le morte de’ figliuoli? Vicit, amor Patriæ, laudumque immensa cupido. Dunque avidità di gloria tanto può che fa infino di padri carnefici? ma dove in uno stesso si perde e il figliuolo, e la gloria che da lui s’attendeva, quanto è più eroico atto l’ ucciderlo, poiché non prende per farlo forza altronde che dall’amore della virtù?

Ma sperare d’ aver mai uno spettacolo sì beato, e vanità. Pur s’ impetrasse, che le sordidezze, quelle che affatto sentono del brutale, si togliessero e restasse il libro, se non buono, almeno non pessimo. Ma ancor per, questo s’ ode quella risposta, data già al Senato di Roma, mentre si deliberava di scemare il Tevere con diramarlo, e torgli l’ acqua de’ fiumi che vi mettono, per assicurare la città dalle spesse inondazioni che la sommergevano: Ipsum Tjberim nolle prorsus accolis fluviis orbatum