Pagina:Bartoli - Dell'uomo di lettere II.djvu/49

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di grossi martelli. La loro penna, più d’Avoltojo che di Cigno simile a quella del famoso Demostene, ha da un capo l’inchiostro, dall’altro il veleno: anzi veleno è l’ inchiostro medesimo, che attossica i nomi che scrive; onde, come chi muore di veleno, lividi e neri nelle loro carte compajono. Le vivezze dell’ ingegno, che in altrui sogliono esser lampi innocenti di luce non di fuoco, per diletto non per offesa, in costoro son fulmini, che portano su l’ali le fiamme, e su la punta la morte.

Hanno trasfuso in capo il genio di Lucilio, qui primus condidit stili nasum. Hanno in bocca la lingua propria de gli antichi, Epigrammatisti, cioè (come la definì Miarziale) malam linguam; né quantunque dolce e copiosa abbiano la favella, può già mai dirsi, che ad essi, come al soavissimo Platone, le Pecchie abbiano portato in bocca il mele, ma in questa vece o gli Scarpioni l’uova, o i Ragni il veleno. In fine, usano con la mano più tosto ferri da Notomista che penne da Scrittore, e quanto più sottilmente tagliano, tanto più valenti si mostrano facendo piaghe ne’ vivi, e squarci ne’ morti.

Costoro, così indegni di vivere fra gli uomini, come tengono della fiera (ciò che di Cicerone fu detto), per guadagnare l’applauso d’ un motto, non curano di perdere la grazia d’ un’ amico.

Dummodo risum

Excutiat sibi, non hic cuiquam parcet amico.

Con che ben possono acconciamente chiamarsi col Comico Vulturii; già che, Hostesne an Cives comedant parjpendunt. Per esprimere un lor pensiero, non curano che se ne tormenti quell’ innocente, sopra cui cade. Solo hanno l’occhio a far bello il colpo; e quando ben sia come quello dell’ Aquila che lasciò cadere su la testa al calvo Poeta la Testuggine per trarne la scaglia, poco ne curano. Così dall’ altrui pena cavano gusto, per sé, e dall’ altrui ignominia onore; imitando Nerone, che diede il fuoco a Roma, per cantare su la torre di Mecenate al