Vai al contenuto

Pagina:Bartoli - Dell'uomo di lettere II.djvu/99

Da Wikisource.

parte seconda 99

variamente insieme armonizzate, onde più o meno vi può il caldo, il freddo, l’umido, il secco; così più abile si ha la potenza ad una che ad un’altra professione di Lettere, secondo la tempera delle qualità, che ricercano gli strumenti, per essere più disposti ad operare. E questa abilità della potenza ben disposta verso tal sorte d’oggetti, è fondamento di quello, che chiamano Genio. Imperciochè essendo in ognuno per naturale istinto innata volontà di sapere; e non errando la Natura, consapevole di ciò che ha, in applicarsi a voler, come suo bene, cosa, per cui ottenere ella non abbia forze bastevoli; quindi è, che a quello ella ci porta col desiderio, per cui conseguire siamo abbastanza disposti. La proporzione dunque della potenza coll’oggetto, e la voglia che si ha di sapere, delle quali l’una applica, l’altra determina, cagionano quella proporzione e quella simpatia, che si può dir Forma del Genio.

Così non la disposizione, non la figura, non il colore, non la mole delle membra, come immediato o veritiero testimonio d’ingegno osservar si vuole per applicare altrui alle Lettere. Ma da gli atti, testimonj naturalissimi delle potenze, argomentare l’interna loro costituzione; indi trovare a qual dell’arti o delle scienze ella abbia più confacevole corrispondenza. Così, già che non si può corre il mele alla sua fonte, che sono le stelle (così parla Plinio); almeno s’adoprino per averlo più puro di que’ fiori, che più gli somigliano con la natura: Ibi enim optimus semper (ros mellis), ubi optimorum doliolis florum conditur1. Poichè non si può aver la scienza altrimenti che caduta dal cielo in questi corpi terreni; almeno vi si applichino a raccorla di quelli, che, di tempra simili al cielo ignea e sottile, ma stabile e regolata, con lei più simbolizzano e si confanno.

  1. Lib. 11. cap. 13.