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198 sui colli di san marco

Gorizia è sotto una vólta di traiettorie. Passano sulla città raffiche di colpi. Dal suo cielo ardente scende un perpetuo rombo.

Sembra addormentata, Gorizia, tutta ferita, nel sole e nella polvere, affranta, luminosa e triste. Le sue strade (ampie e deserte sono immerse in una foschia soffocante; i grandi ippocastani che la fiancheggiano, impolverati, bianchi, aprono una strana chioma incipriata lungo Le facciate delle case disabitate, al bordo dei marciapiedi ingombri di rottami.

Qualche granata austriaca arriva fragorosamente sui quartieri occidentali e sul Castello, solleva fra i tetti cumuli di fumo rossastro; ed eruzioni di schegge e di detriti ricadono, crepitando nella solitudine.

Tuoni, schianti, boati, rimbombi, scrosci, scoppiettii, tutto il grande coro tumultuante della battaglia echeggia sulla città magnifica e desolata.

Le alture combattute spingono fin quasi ai sobborghi orientali i loro declivi, dei quali la collinetta del Castello non è che una specie di avanguardia. Dalle prime ore del mattino il bombardamento italiano tempesta la linea sinuosa delle molli vette, coperte di boschi rigogliosi sui quali spuntano i tetti rossi e la torricella pretenziosa di qualche villa.

I sobborghi di Castagnavizza, di San Rocco e di San Pietro portano l’abitato di Gorizia