Pagina:Barzini - Dal Trentino al Carso, 1917.djvu/242

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Non si ode una voce. I gridi dei conducenti si estinguono. Ogni uomo inoltra grave, silenzioso, con una decisione di lotta sul viso. Il traffico continua ininterrotto, ma i carri e i cassoni galoppano, le salmerie trottano, le automobili passano veloci rombando fra nembi di polvere, le squadre di servizio vanno in fila lungo i margini, ordinate, curve e rapide come nella battaglia. Il traffico continua, ma una urgenza sinistra lo affretta. Ognuno si sente un po’ inseguito. Bisogna passare e si passa, ma chi sta per entrare nella strada bombardata si ferma sempre un momento, si prepara e si slancia.

La strada si apre davanti a lui annebbiata, funerea, misteriosa. A istanti è piena di fragori. Scroscianti raffiche di schegge l’attraversano, delle pietre rotolano giù dal declivio, qualche murello frana. Poi una quiete profonda, lugubre, inverosimile. Delle nubi di fumo si dissipano lontano. Si rivedono le rovine bianche del Villaggio, laggiù, allo sbocco, che erano scomparse. Un altro colpo arriva. Niente: è scoppiato indietro, sul greto. Attenti, c’è una buca. Fumiga ancora. Due passi lontano un mulo abbattuto agita gli zoccoli. Un camion cisterna è rovesciato sul bordo, con due ruote sollevate, e l’acqua sgorga dal suo corpo massiccio come fosse il suo sangue. Nessun ferito? No, ecco i conducenti che ritornano a piedi,