Pagina:Barzini - Dal Trentino al Carso, 1917.djvu/243

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quatti quatti. Siamo alla voltata. Si riodono finalmente delle voci, dei gridi di mulattieri; c’è un piccolo affollamento di gente che si dispone a passare. Rinascono i clamori della vita. La strada bombardata è finita. È ridiventata una strada qualunque, bonaria ed amica.

Gli austriaci adoperano i grossi calibri per questi tiri di interdizione, lenti e intermittenti. Di tanto in tanto, tutte le loro artiglierie allarmate si concentrano sopra un punto o sopra l’altro delle posizioni, attirate da improvvisi fuochi di fucileria. La giornata si è fatta oscura, minacciosa, la sera si avvicina, e nell’ombra le vedette sparano ad ogni rumore sospetto. I colpi spesso si moltiplicano, le trincee da una parte e dall’altra si popolano di tiratori. Uno strepito di battaglia si desta, e allora l’artiglieria nemica entra in azione, per qualche minuto, con una prontezza singolare. Essa è organizzata in modo da concentrare i suoi tiri ad una parola convenzionale lanciata dal telefono. Il comando le arriva direttamente dagli osservatori. Sopra un settore minacciato, convergono in pochi istanti tutte le batterie che hanno la possibilità di arrivarvi. Questo è il segreto della resistenza austriaca.

Soltanto gli attacchi simultanei e decisi sopra vaste fronti, richiamando nello stesso minuto in dieci, in venti punti diversi, la concentrazione della difesa — cioè disperdendola —