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106 capitolo v.


setta da tabacco. E-Le-He-Tai era entusiasta dell’automobile, chiese il favore di potervi fare un giro, il che gli fu concesso. Mi parve che il nostro buon amico nell’ortodossia cinese rappresentasse il più simpatico modernismo, ma laggiù è pericoloso essere modernisti. Le scomuniche massime colpiscono in modo così radicale!

Persino alcuni bonzi d’un vicino tempio, arrampicato in modo pittoresco sulle falde della Shi-shan, vennero a vedere l’automobile. Quel tempio ha un gong che suona un tocco ogni minuto durante tutta la notte. Alla fine noi rimanemmo soli con quel suono, grave, dolce, d’una solennità indicibile, suggestivo. Aveva l’insistenza d’un avvertimento. La nostra fantasia ci portava lontano, e quel rintocco ci richiamava severamente, come una voce che si levasse per noi, una voce che riempiva di sè lo spazio che si spandeva con la regolarità di un gran respiro, che a poco a poco si trasformava ai nostri sensi, diveniva più vasta, più profonda, più strana, vibrante come un coro lontano, unione di mille suoni e di mille lamenti. Ci parve di ascoltare in essa la voce favolosa della notte cinese.

La mattina dopo — 15 di Giugno — fu spesa in una ricognizione a cavallo verso la Mongolia. La strada fu trovata in parte percorribile col solo motore. Le ultime alture sarebbero state superate con l’aiuto dei coolies e dei muli. Poi cominciava la prateria. Dopo la traversata compiuta nei giorni precedenti, tutto ci sembrava facile. Ma un pericolo ci minacciava: la pioggia. La valle dello Shi-shan-ho in tempi di pioggia va soggetta a inondazioni repentine e impetuose, e siccome la strada è precisamente il letto del fiume, le carovane sorprese dalla furia delle acque non hanno scampo. I disastri vi sono frequenti, ed ogni piena porta a Kalgan, insieme ad alberi sradicati, a carogne di muli, di cammelli, di pecore, anche dei cadaveri. Quel giorno stesso piovve per qualche ora, e il tempo prometteva di peggio. Aspettavamo dunque con impazienza l’arrivo delle altre automobili, che sapevamo giunte a Hsin-wa-fu.