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CAPITOLO VII.


NEL DESERTO DI GOBI

Il telegrafo nel deserto — Il «Contal» non arriva — Sopra un fondo di mare — Gli effetti del sole — Udde.

Al pozzo di Pong-Kiong eravamo aspettati. Il piccolo telegrafista cinese al quale è affidata quella stazione, ci è venuto incontro fuori del suo recinto, e ci ha ricevuti con grandi dimostrazioni di contentezza.

Deploro di non ricordare il nome di questo eroe, che vive nel deserto per permettere all’Occidente e all’Oriente di parlare fra loro. La più vicina città, Kalgan, è a quasi 300 chilometri. Urga è a 800 chilometri. Qualunque cosa accada a quell’uomo, egli non può fuggire. L’immensità dello spazio equivale ad una prigione. Per riunirsi all’umanità egli deve viaggiare otto giorno, da pozzo a pozzo. Nessuno può soccorrerlo. L’isolamento del carcerato in una cella di fortezza non è così assoluto e terribile: il carcerato sente vivere il mondo; gli arrivano echi ai quali associare i suoi pensieri. Quel che v’è di più spaventoso nel deserto è il silenzio.

È vero che il piccolo cinese di Pong-Kiong è confortato nella solitudine da due gioie: una bambina e un apparecchio telegrafico. Sono due affetti che riempiono la sua esistenza. La bambina è sua figlia e l’apparecchio è il suo amico. Per lunghe ore s’immerge nel tic-tac dei tasti e dei ricevitori, e ascolta in esso voci