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140 capitolo vii.


di mondi lontani: parla Pietroburgo, parla Londra, parla Tokio. Egli trasmette: passano notizie, comandi, misteriose comunicazioni diplomatiche, parole di passione. Quando la grandiosa conversazione dei continenti s’estingue, il telegrafista profitta della linea sgombra, e s’inizia allora una conversazione più modesta. Sono gli uffici del deserto che si salutano, che raccontano i piccoli incidenti della giornata, le loro noie, le loro speranze. Tali colloqui rappresentano il giornale quotidiano di quei solitari.

La stazione telegrafica di Pong-Kiong somiglia ad una casa di contadino cinese: tre edifici piccoli, bassi, fatti con fango battuto, illuminati all’interno da larghe griglie coperte di carta — le quali occupano tutta una parete — disposti sui tre lati d’un quadrato, circondati da un muro munito di un solo ingresso rivolto al sud, e sormontato da una corona d’isolatori telegrafici, curioso adornamento che fa pensare ad una lunga fila di denti bianchi sopra una mascella morta. Contro al muro, sul lato di tramontana, il vento ha accumulato la sabbia. Nelle giornate di vento la sabbia invade tutto, penetra per le imposte, entra in ogni camera, e il cielo s’offusca, l’aria s’intorbida, all’esterno non è possibile vedere nulla a due passi di distanza, i fili telegrafici sibilano ed urlano, l’oscurità è tale che bisogna accendere i lumi. L’ultima tormenta aveva imperversato quattro giorni prima del nostro arrivo.

Col telegrafista, tre uomini vivono in quel recinto: due cinesi e un mongolo, incaricati dei lavori sulla linea. Essi corrono a riallacciare i fili spezzati dalle bufere, a rialzare i pali abbattuti. Per il loro servizio hanno tre cammelli che pascolano nelle vicinanze. Le avevamo incontrate arrivando, quelle tre bestie; avevano allungato verso di noi il loro buffo e placido muso da animale antidiluviano, grinzoso e soddisfatto.

La migliore camera era preparata per noi. Sui kang, dei tappeti e dei cuscini rossi fiammanti, e sopra un tavolo (vista deliziosa) un superbo ananas di Singapore, tolto allora allora dalla sua scatola, profumato, fresco. Ci siamo gettati prima sull’ananas,