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156 capitolo vii.


bocca che gli sanguinava agli angoli. E soffriva orribilmente nelle mani, già rovinate dal rude lavoro, sulle quali il sole apriva solchi vivi; e le dita gonfie ne tremavano di dolore. Non si potrà mai apprezzare abbastanza la somma enorme di abnegazione, d’amor proprio, d’energia che Ettore dimostrava dimenticando ogni dolore al momento del bisogno, costringendo le sue mani piagate alle più dure fatiche che gli facevano lasciare alle volte traccie di sangue sugli attrezzi e sui pezzi della macchina. Quando aveva scrupolosamente finito il lavoro, si guardava le ferite, e mormorava con quel suo sorriso da grande ragazzo:

— Ho paura che non andiamo avanti!

Se avessimo avuto ancora sulle nostre teste la superba protezione del baldacchino, avremmo potuto riderci del sole. Ci consolavamo dicendo: Finirà anche questo!

Inseguivamo l’infinita linea dei pali telegrafici in una specie di sogno. Quella linea aveva le sue seduzioni. In tanta monotonia, essa assumeva varietà di aspetti alle quali c’interessavamo. Ora correva dritta, simile ad una fantastica striscia sottile e nera tracciata da un orizzonte all’altro; ora mostrava la schiera delle antenne volgere regolarmente come soldati in una manovra. L’idea dei soldati ci veniva specialmente quando vedevamo i pali assalire in rango il declivio delle alture. Sui valichi quell’insieme di lineette serrate l’una all’altra formava spesso sorprendenti sagome nebulose, ora simili ad una cuspide gotica, ora ad una montagna dirupata, immensamente lontana. Osservavamo tutte queste cose con un’attenzione infantile. Avevamo pensieri d’una puerilità stravagante. Mi sorprendevo talvolta a contare i pali, meccanicamente, cominciando da uno qualunque, per finire col perdere il conto. Quel che v’è di opprimente in un viaggio di quel genere, per chi non guida, è l’inazione. Si osserva dapprima, si medita, poi si fantastica, ed alla fine il pensiero stanco discende nel vaneggiamento; nessuna visione più lo risveglia, e si rimane così in uno stato di tacita e quieta insensatezza. La mente si addorme e si empie della dolce demenza del sonno.