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310 capitolo xiv.


boscose e il lago, distesa sulla sponda, internata in parte in una angusta valletta, con le sue piccole case di legno, ci apparve nell’insieme stranamente simile ad una città giapponese. Eravamo sbarcati, e stavamo per partire alla volta d’Irkutsk — lontana 60 verste — , quando una giovane signora si fece largo fra la folla adunatasi intorno a noi, e ci gridò:

Ah, Messieurs, Messieurs! Vous n’allez pas repartir tout de suite!

Mais... oui, Madame!

— È impossibile! Dovete fermarvi un’ora almeno. Un’ora soltanto, voyons!

Alla vista della bandiera essa rimase dubbiosa.

— Non siete francesi? — ci domandò.

— No, signora. Siamo italiani.

— Italiani?.... Ebbene, fermatevi.... un minuto!

Essa sembrava molto rattristata dalla conoscenza della nostra nazionalità. Era una signorina francese, istitutrice in una ricca famiglia siberiana. Aspettava ansiosamente l’arrivo delle automobili francesi, con quella febbre che conosce chi vive lontano dalla patria. Cercammo di consolarla del disinganno che le avevamo involontariamente procurato — e che pareva l’addolorasse come un disastro nazionale — spiegandole che l’essere noi i primi a sbarcare a Listwintshnoje non aveva proprio niente di vittorioso. Le dicemmo quanto sapevamo dei nostri colleghi: e cioè che avevano trascorso quella notte a Kabansk, villaggio situato fra Verkhne-Udinsk e Missowaja, che forse a quell’ora si trovavano già sulla riva del lago, e che probabilmente l’indomani essa li avrebbe veduti sbarcare e incamminarsi verso Irkutsk, dove senza dubbio ci avrebbero raggiunti. Noi avevamo infatti perduto quattro giorni nei nostri tentativi di girare il lago, e da Tankoy avevamo creduto bene di avvertire telegraficamente i colleghi dell’inutilità e soprattutto dei pericoli della nostra impresa.

La signorina, rasserenata sorrise, e ci disse:

— Grazie, grazie infinite!.... Aspettate un istante.