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402 capitolo xviii.


nella taiga. Anche lì la ferrovia — una breve linea che va da Tjumen a Jekaterinburg — condannava la strada maestra all’abbandono. Le chiome folte degli alberi rinserravano lo spazio sulle nostre teste, non vedevamo più che uno squarcio di cielo e sottili striscie di sole. Dovevamo abbandonare le nostre belle velocità, e procedere lentamente nell’ombra verde e fresca, profumata di resina, di timo, di menta, di fiori. L’erba era costellata di piccole fragole mature, rosse e olezzanti.

Eravamo a cinquanta verste da Tjumen, quando nel profondo del bosco, a sinistra della strada, scorgemmo due alti pali vicini, dipinti a fascie bianche e nere, recanti due tabelle. Nelle tabelle era dipinta l’aquila imperiale nera a due teste, con le ali aperte e il globo e lo scettro negli artigli; sotto alle aquile delle parole sbiadite. Rallentammo per leggerle. In una era scritto: “Governo di Tobolsk„. Nell’altra: “Governo di Perm„. Lanciammo un alto grido, che risuonò nel silenzio della foresta:

— Addio Siberia!

Entravamo nella Russia europea.

Non ancora nell’Europa. L’Europa incomincia agli Urali. Non passavamo che un confine amministrativo; ma la Siberia, la vera Siberia era già lontana: era finita colla steppa. Per qualche tempo la nostra mente ritornò sulla strada fatta. Tacevamo, guardando distrattamente avanti a noi. Rivedevamo la Transbaikalia con i suoi panorami svariati che dànno un’idea di disordine, i suoi fiumicelli violenti, il suo gran lago che nella calma sembra un abisso di serenità. Rivedevamo le verdi praterie e le mandrie che vi pascolano, e i buriati che le guardano; e la taiga fosca e grandiosa, immenso popolo d’alberi che si difende. Rivedevamo i larghi, sterminati fiumi siberiani che nascono nel torrido centro dell’Asia e vanno a morire nei mari glaciali, che trascinano nel loro fango le polveri d’oro strappate alle remote e quasi ignote montagne degli Aitai e dei Changai, le quali nascondono forse il più grande deposito di tesori della terra; il Jenissei veloce, l’Obi maestoso, l’Irtysch operoso, si succedevano nella nostra memoria.