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428 capitolo xix.


noi eravamo uomini in carne ed ossa. La distanza sparì del tutto; l’automobile fu toccata, dapprima con timidezza, come se potesse scottare, poi con sicurezza confidente. Due contadini, invitati, accettarono eroicamente di salire sull’automobile e di lasciarsi trasportare. Si entusiasmarono al punto che non volevano più discendere. Tutti chiedevano di provare. La calca ci serrava da ogni parte. Giunse il pope, e ci espresse il desiderio d’essere condotto all’indomani mattina al prossimo villaggio.

Il ghiaccio era rotto. Tutti divennero buoni amici. La casa azzurra schiuse i chiavistelli, spalancò le porte, ci ospitò. Venne il samovar sul tavolo, e dopo il samovar arrivarono delle uova, del latte, e pane e burro, e ci sfamammo. La macchina ricoverata nel cortile, era assalita dalla curiosità ammirativa della popolazione.

Noi ricevemmo visite fino a mezzanotte; la gente entrava e usciva liberamente, all’uso russo, senza chiedere il permesso; volevano vederci da vicino: si affacciavano alla soglia, si scoprivano, ci contemplavano in silenzio, e se ne riandavano via contenti come pasque, dopo aver mormorato qualche timida parola di saluto tormentando il berretto fra le mani. A mezzanotte spegnemmo il lume, ci avvolgemmo nelle fedeli pellicce, e ci coricammo sul pavimento: gli ultimi visitatori si allontanavano a punta di piedi per annunziare dalla porta di casa: “Gli stranieri dormono!„


La mattina di poi, 22 Luglio, alle quattro, riprendemmo la corsa attraverso un immutabile paesaggio: grandi foreste, rare praterie, qualche campo coltivato, prigioniero dei boschi maestosi che detengono ancora tanta terra vergine.

Passammo su barche il piccolo fiume Uchim, poi un altro più largo, il Wala, tutti confluenti del Kama — la gran via maestra che i vapori percorrono fino al Volga, che è la massima arteria della Russia. Sfortunatamente le vie d’acqua, tanto numerose e facili, fanno trascurare quelle di terra, che trovavamo pessime, al punto da dover procedere con una lentezza irritante, sottopo-