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440 capitolo xx.


Verso l’una attraversavamo un piccolo villaggio quando, sulla piazzetta erbosa che circonda sempre le bianche chiesuole dei villaggi russi, l’automobile, benché andasse molto piano, spaventò un cavallo attaccato ad una telega vuota. Il cavallo si mise in fuga; un ragazzo d’una decina d’anni, che era allora disceso dalla telega, volle fermare il cavallo; afferrò la lunga capezza che si trascinava dietro al carro, e tentò di tirarla. Disgraziatamente la corda gli si avvolse attorno ad una gamba; egli cadde. Mandammo un grido di spavento; già vedevamo con l’immaginazione il fanciullo trascinato per un piede e massacrato orribilmente. Ma non pensavamo alla provvidenziale ampiezza degli stivali russi; il ragazzo era appena caduto, che la corda attorcigliata alla sua gamba non faceva altro che cavargli lo stivale, ed egli rimase sano e salvo. Il cavallo si fermò di fronte al recinto della chiesa. L’incidente sollevò contro di noi l’ira della popolazione. In un momento si formò un gruppo compatto di contadini che, profittando della nostra lenta andatura, si mise ad inseguirci. Ad essi se ne aggiunsero degli altri. Si armarono di pietre, e vennero all’assalto, urlando. Ci gridavano in tono furibondo: “Fermatevi!„

La fuga della telega da sola non poteva giustificare tanta indignazione. Anche un contadino russo era capace di comprendere che non avevamo alcuna colpa. Ma qualche giorno dopo, a Mosca, quel furore, ed anche la muta ostilità incontrata in tanti centri della campagna russa, ci furono spiegati. Pare che l’automobile abbia servito in varie occasioni ai rivoluzionari per compire le loro gesta e per gettare proclami incendiari. Certo è che in molti paesi russi si è creata l’opinione che le automobili siano i veicoli dei nemici della religione e dello Zar. La fuga d’un cavallo fu per noi la determinante d’uno scoppio di vecchia ostilità.

Gl’inseguitori non parevano disposti a lasciarci sfuggire. La strada ad un certo punto, li aiutò. C’incontrammo, passata la chiesa, in una discesa precipitosa, piena di solchi e di buche. Dovemmo rallentare, frenando, per non spezzare la macchina. I contadini erano capitanati da un giovanotto biondo, dalla camicia