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466 capitolo xxi.


ora, e diviene pittoresco. Le case campestri prendono un aspetto più caratteristico, si arricchiscono d’intagli, di sculture in legno, di ornamenti multicolori intorno alle finestre, si abbelliscono dei motivi tradizionali dell’antica arte slava, in qualche caso di un’opulenza medioevale. Ma noi non abbiamo sguardi che per la strada, quasi per correrla avanti alla macchina lanciandovi il nostro desiderio.

Ma, ahimè, passato il confine del governatorato di Twer, la strada peggiora. Rallentiamo, finchè siamo ridotti ad una velocità di 25 chilometri all’ora da un subitaneo violento temporale. È il consueto temporale quotidiano. E pensare che durante il nostro soggiorno a Mosca non era caduta neppure una goccia d’acqua!

Addio strade, paesaggi, case medioevali! Tutto è acqua intorno a noi, come al mattino tutto era nebbia; un’acqua che non ci abbandona più fino a Nowgorod, sulle rive del Volkhof, presso al quieto e vasto lago d’Ilmen. Nessuna città ci aveva fatta l’impressione di tristezza che ci produce Nowgorod. Si direbbe che essa porti il lutto della sua potenza e delle sue glorie. Vive ancora un proverbio in Russia, che dice: “Chi può lottare con Dio e con Nowgorod?„ — Si vede proprio che a questo mondo resistono più poche parole che un impero.

Noi abbiamo un rammarico: quello d’aver percorso una gran distanza che non ci avvicina alla mèta. Corriamo verso il nord. Questa punta a Pietroburgo rappresenta una vera interruzione del viaggio. Deviamo dalla strada diretta.

Ritroviamo a Nowgorod la notte bianca boreale, ma ridotta al pallore d’un plenilunio. Questo chiarore non abbandona mai le nostre finestre, all’albergo, fino al giorno dopo. Udiamo scrosciare la pioggia sulla città addormentata.

Piove ancora quando lasciamo Nowgorod, alle sei del mattino: una pioggia fine, ostinata, che scende implacabile dal cielo invernale, e rende le strade scivolose.