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478 capitolo xxi.


Avevamo lasciato Kowno alla prima alba: brillava ancora qualche stella sul cielo rasserenato, e una sottile falce di luna spandeva un leggero chiarore sulle cupole della cattedrale. Ma la nostra premura di partire prima del giorno venne mal compensata.

Nell’oscurità, noi e gli amici polacchi sulla loro macchina e con la loro bandiera, sbagliammo strada, e ci perdemmo fra i meandri delle fortificazioni, respinti da una sentinella all’altra. Verso le quattro ritrovammo finalmente la buona via militare della frontiera: una via così strana per le grosse pietre imbiancate alla calce e disposte simmetricamente lungo i bordi erbosi, fra i tronchi degli alberi, da sembrare una strada funeraria. Alle sei avevamo superato le 94 verste che ci separavano dall’Impero tedesco. Ecco Wierzholow, l’ultima città russa.

Avevamo impiegato quarantun giorni per attraversare l’Impero dello Zar, ove incontrammo le maggiori difficoltà del viaggio. Lo lasciavamo senza rimpianti, ma non senza simpatia. Molte volte avremmo dovuto abbandonare l’automobile e rinunziare al compimento dell’impresa, se non avessimo sempre trovato negli abitanti bontà, pazienza, ospitalità. Non potevamo ripensare ai momenti più critici della nostra traversata, senza che ci apparisse alla memoria la figura serena, mistica, evangelica del mujik, con la sua barba bionda, i capelli lunghi, intento a salvarci dal fango, dalla corrente dei fiumi, dalla fame talvolta.

La frontiera è segnata da un ponticello.

Ai due capi, attaccati a pali dipinti a fasce con i colori nazionali, due stemmi si fronteggiano: l’aquila con due teste guarda l’aquila con una testa sola. Una catena tesa sbarra l’ingresso del ponte. Ci fermiamo.

I nostri passaporti sono vidimati in un attimo. Ordini telegrafici hanno tutto predisposto per toglierci ogni imbarazzo. La dogana russa rilascia immediatamente il nulla osta. Possiamo ripartire. La catena viene abbassata davanti all’automobile, che s’inoltra lentamente fra i due Imperi. I gorodovoi di guardia ci salutano con rigidezza militare. La catena si risolleva rumorosamente dietro di noi.