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506 capitolo xxiii.


passo dalle dodici alle quattordici ore al giorno. Consideravamo di precorrere dai duecento ai trecento chilometri ad ogni giornata di marcia, e nell’Europa occidentale, andando alla stessa velocità, abbiamo constatato che nel medesimo tempo si percorrono circa cinquecento chilometri. Rimane dunque ancora ignota l’esatta cifra totale dei chilometri da noi coperti. La supponiamo superiore ai tredicimila. Ma lasciamo volentieri l’incognita. Non torneremo certo a riprendere le misure....

La vicinanza di Parigi ci sorprende, ci stordisce, ci commove, anche per la rapidità fantastica con la quale Parigi giunse davanti a noi. Negli ultimi giorni non avevamo avuto il tempo di abituarci all’idea dell’arrivo. Le estreme provincie russe, la Germania, il Belgio, la Francia passarono come un sogno. C’erano voluti dodici giorni a percorrere i primi mille chilometri: volammo gli ultimi mille in due giorni e mezzo.

Ma le ultime ore ci sembrano eterne. Ore di gioia, ma anche ore di angoscia. Un’angoscia sottile, vaga, inesprimibile, che ci rende silenziosi e ci dà tutte le apparenze esterne della tristezza.


Nella mattinata del 10 Meaux è stata invasa da un piccolo esercito di automobili. Ad ogni minuto ne arrivavano: di grandi, di piccole, alcune imbandierate, altre coperte di caratteri cubitali con nomi di giornali: una ha portato i corrispondenti della stampa italiana; varie rappresentavano l’Automobile Club di Francia. Suonavano trombe, sirene, strepitavano motori, e la gente si accalcava sulla via, nel cortile dell’albergo, nel garage. La nostra macchina era invisibile, rinchiusa in un magazzino sulla cui porta la curiosità della folla s’infrangeva.

Alle due e un quarto passano degli ordini. Delle vetture si mettono in moto. Vi è un momento di concitazione: si parte.

Ettore lega i bagagli sul cassone della nostra automobile, con la cura che ha sempre messo in quest’importante operazione da quando la valigia del Principe si perdè nel deserto di Gobi.