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510 capitolo xxiii.


scostarsi per non cadere sotto le ruote: la sua mano è afferrata da un operaio che la stringe effusamente, poi da altri, è trattenuta, tirata; tutti vogliono serrarla e la serrano con energica cordialità. Non senza una certa lotta Borghesi riesce a liberarla da quel terribile ingranaggio di simpatia, e a riportarla salva sul volante.

Sulla Piazza della Repubblica sono schierati due plotoni della Guardia repubblicana a cavallo, che vengono a piazzarsi uno avanti e uno dietro al corteggio. Vediamo gli elmi rilucere sulla enorme distesa di popolo, agitati dal caracollare delle cavalcature.

All’ingresso del boulevard Saint-Martin il saluto diviene acclamazione: è un tuono di voci. Il grido di Vive Borghèse si ripete, si perpetua. Borghese è per un giorno l'idolo di Parigi di questa città generosa che non può amare senza passione. Il colpo d’occhio che l’ampia strada presenta è superbo; i due alti marciapiedi a balaustrata sono neri di popolo e sopra le teste è un turbinio di mani, di cappelli, di fazzoletti, e di ombrelli. Di ombrelli anche, perchè seguita a piovere con accanimento. Ettore è commosso, inebriato, e si sbraccia a contraccambiare saluti con gesti espressivi. Delle popolane gridano in argot nomi carezzevoli. All’angolo del boulevard Saint-Denis una donna si spinge avanti portando in braccio il suo bambino al quale fa battere le mani.

Andiamo a passo lentissimo, col terrore che possa avvenire qualche sciagura: le ruote dell’automobile strisciano sulle gambe della folla. Al boulevard Bonne Nouvelle la dimostrazione continua intensa: scrosciano i battimani, e la parola Borghèse unita ai vive e ai bravo forma ormai l’unico vocabolario dell’entusiamo.

Intravvediamo sul boulevard Poissonnière schiere di agenti della sûreté e plotoni di guardie repubblicane che sbarrano il transito davanti ad un palazzo stranamente dipinto di rosso e imbandierato. È il palazzo del Matin.