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42 capitolo iii.


dati senza curiosità e senza ostilità. Molti ci degnavano appena d’un’occhiata. Pareva che non avessero visto altro in vita loro. Ne eravamo quasi umiliati. Ci aspettavamo di scorgere nella gente i segni della più intensa meraviglia, e invece non scorgevamo che quelli d’una sublime noncuranza. I miracoli della nostra civiltà non hanno neppure l’onore di sollevare l’attenzione d’un ragazzo cinese. Non c’è più nulla di europeo che possa sorprendere un figlio del cielo. È ammesso laggiù che noi possediamo virtù magiche, proprietà misteriose per le quali animiamo organismi di acciaio capaci di ogni lavoro; la cosa è naturale e non v’è più da stupirsene.

Vi sono due categorie di persone al mondo che niente meraviglia: il grande scienziato, che conosce tutto, e il grande ignorante, per il quale tutto è un mistero. L’ignorante assoluto ha l’abitudine all’inesplicabile; ogni cosa sorpassa il limite delle sue nozioni; e niente lo sorprende poichè tutto dovrebbe sorprenderlo. Il cinese è così. Egli ha la tranquilla filosofia dell’inconsapevole, possiede la serena pace dell’ignaro, ed ha trovato in ciò il vero segreto della felicità.

Siamo passati velocemente al nord del recinto imperiale, per un dedalo di viuzze. Delle guardie cinesi, dalla casacca piena di iscrizioni bianche, e il cappello di paglia elegantemente posato sul codino raccolto a chignon, ci mostravano la buona via con la punta del loro lungo bastone. Da sopra il muro giallo della città imperiale ci apparvero un istante, lontano, le graziose pagode della Mei-shan, la “Montagna di Carbone„, montagna eretta dal capriccio d’un imperatore nel suo giardino a dominare l’intera città. Ed eccoci poco dopo sotto alle imponenti muraglie esterne, fra i bastioni della Dosh-man, giganteschi e severi, sormontati da uno di quegli alti castelli che difendono le porte di Pechino. Questa costruzione, un po’ fortezza e un po’ tempio, apre verso la campagna la triplice fila delle sue cannoniere a sportelli che la fanno somigliare al fianco d’un’antica fregata. Sotta la porta dobbiamo rallentare per l’acciottolato irregolare, rovinato dagli anni, solcato