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verso la grande muraglia 43


profondamente dalle ruote dei carri, un acciottolato che ricorda quello di Pompei. Tumultua intorno a noi la vita dei sobborghi, miserabile, gaia, spensierata.

Comincia la strada campestre, fra orti rigogliosi dai quali sporgono gli alberi quasi per offrire ai passanti ombra e frutta. Le automobili che ci precedono, una De Dion-Bouton e la Spyker, si sono fermate. Ci fermiamo anche noi. Il Principe Borghese è invitato a proseguire per il primo. Attraversando un piccolo antico ponte cinese alle falde della Lian-ya-miao.

L’Itala si rimette in moto, e presto Pechino sparisce ai nostri sguardi dietro alle irregolarità del terreno e al folto degli alberi.

Allora soltanto ci viene in mente di guardare l’orologio. Siamo partiti in ritardo: sono le 9.25.

Il sentiero serpeggiava verso il nord, sabbioso, irregolare, traversato di quando in quando da ruscelli, a volte ampio come il letto d’un fiume, a volte invaso dal verde dei campi, nascosto da folti boschetti, i cui alberi annosi proteggevano tombe e iscrizioni sacre incise su grandi lapidi dritte fra l’erba alta. Non andavamo velocemente. L’automobile sobbalzava, oscillava, doveva