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La natura tatticamente sfavorevole del terreno ci obbligava a muoverci in piena vista di tutti gli osservatorii nemici. Dal Sabotino scorgevano tutte le nostre colonne sfilare per i camminamenti e guidavano su di loro le raffiche delle batterie. La guerra in queste condizioni è una prova di impassibilità, un esperimento di resistenza morale: due fanterie avversarie, discoste, che non si vedono fra di loro, sono sottoposte alla fulminazione; quella che non resiste ha perduto. Nel bombardamento i nostri marciavano; gli austriaci abbandonavano Oslavia.

Tutta la mattinata e parte del pomeriggio continuò la bufera delle cannonate. Alle tre il nostro fuoco di artiglieria allungò il tiro oltre le posizioni; passò l’ordine di avanzata. Le truppe si slanciarono all’assalto, a sciami, balzando fra le asperità della collina di Oslavia, scomparendo, ricomparendo più su, gettandosi nelle vecchie trincee servite ai primi attacchi o nelle cavità aperte dalle granate quando sentivano ululare a stormi i grossi proiettili nemici, andando avanti subito dopo gli scoppi, e tutto il costone pareva pagliettato dal balenìo delle baionette. Gli austriaci facevano un gran consumo dei loro nuovi shrapnells-granata, che esplodono due volte, in aria e a terra. Ma la fanteria austriaca era scomparsa.

Sulla vetta non erano rimasti che pochi uo-

Barzini. Fra le Alpi, ecc.