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l’assalto 115


tutto un rombo senza fine formato dagli echi. E sulle candide distese delle nevi gli uomini minuscoli e neri sorgevano, sparivano, risorgevano, a tre alla volta, sempre più lontani, sostando più a lungo nei luoghi riparati, affondandosi in trincee frettolosamente scavate con pochi colpi di badile, vociando, chiamandosi, dandosi la mano o porgendosi il bastone nei passi difficili.

I passi difficili erano molti. Sui declivi più ripidi si vedevano dei soldati rotolar giù annaspando, mezzo sepolti nella neve, come nuotatori fra delle spume bianche. Arrivavano così precipitosamente in fondo ai valloncelli, trascinando con loro piccole valanghe, e dopo un istante di sbalordimento ripigliavano la salita nel solco lasciato dalla loro caduta.

Non erano gravi le perdite ancora. Densi nembi di nebbia passavano sospinti dal vento. Le nubi venivano a lacerarsi sulle vette, e a tratti una caligine plumbea copriva l’attacco. Inoltre, delle mitragliatrici ben piazzate su dei cucuzzoli alla sinistra della cresta, battevano d’infilata il trincerone e si udiva il grandinare metallico delle pallottole sugli scudi austriaci.

Ad un certo momento un cannone ha cominciato a folgorare da vicino, dalle rocce di sinistra anche lui. I soldati lo hanno riconosciuto alla voce e lo hanno salutato per nome: «Bravo Carlino! Viva Carlino!» Due cannoncini di bron-