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116 la battaglia fra le nevi


zo da montagna, che vivono con le fanterie sul Pal Piccolo, accucciati nelle trincee come cani da guardia e dalle quali abbaiano di tanto in tanto al nemico, sono stati battezzati dalle truppe uno Carlino e l’altro Vico, non si sa perchè. Forse perchè alla guerra tutto vive, tutto ha un’anima, tutto è amico o avversario, e anche le rocce che non hanno mai avuto un nome, i pianori, i macigni, a seconda che difendono o che minacciano, acquistano una personalità favolosa agli occhi dei soldati, che riassumono in una parola la loro simpatia o il loro rancore. Bravo Carlino! E Carlino giù shrapnells sulla trincea austriaca.


Alle sette e mezzo di sera l’attacco era arrivato sotto al Castello Rosso. Qui il terreno protegge, forma un angolo morto. L’avanzata ha avuto una lunga sosta. Nell’ultimo tratto le perdite erano andate aumentando. Si erano dovute attraversare lentamente zone battute da fuochi di interdizione, percosse da un tiro serrato, furibondo, fisso, che creava barriere di morte. Chi passava vicino ad un ferito lasciava piantato a terra il suo alpenstock perchè rimanesse un segnale sulla neve, e andava avanti.

Un grido di esultanza ha salutato l’incontro con la compagnia che era bloccata. I comandanti si sono abbracciati e baciati. Il ricovero era pieno di feriti. Si udivano le voci degli austriaci gridare con scherno: «Venite su,