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118 la battaglia fra le nevi


loro teste illuminando a istanti i caschi di acciaio calzati sul passamontagna.

Alle undici l’assalto ha ripreso. Ad un altro razzo di segnale il formicaio umano ha ricominciato ad ascendere. Lasciava sangue sulla neve, si assottigliava, ma andava avanti, andava su. In certi punti è arrivato a sei o sette metri. La necessità di avanzare per passi determinati, la ristrettezza dei varchi accessibili, facilitava terribilmente il còmpito alla formidabile difesa, impediva a noi ogni collegamento, spezzava la linea di attacco.

Sui più vicini è cominciato il lancio delle granate a mano. Fra le esplosioni, nel fumo denso, i superstiti lavoravano penosamente a rafforzarsi, a crearsi ripari. La situazione era critica. Ancora una volta l’assalto era fermato. Impossibile fare un passo di più. Le perdite fra gli ufficiali avevano lasciato la truppa quasi senza comando. I soldati resistevano per la loro fiera volontà, ma non si sapeva più come guidarli.


Gli austriaci hanno supposto l’assalto definitivamente rotto, hanno creduto spento il nostro spirito offensivo, depresso il nostro morale e sono scesi al contrattacco. Verso mezzanotte, passando fra i nostri nuclei, infiltrandosi chi sa come per quel caos di nevi e di macigni, hanno spinto dei piccoli reparti alle spalle della linea di attacco, e poco dopo un grido