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l’assalto 119


si è levato dal ricovero del Castello Rosso: «Attenti! il nemico è sul tetto!».

Una pattuglia austriaca in ricognizione, senza accorgersene, marciando con le racchette sulla enorme coltre di neve, era arrivata sul tetto del baraccamento. Si è svolta confusamente una scaramuccia bizzarra fra alcuni soldati nostri, affacciatisi per i camminamenti al bordo delle grondaie, e gli austriaci sopra al tetto, mentre i feriti più leggeri, che avevano sentito scricchiolare il soffitto del rifugio sotto al calpestìo pesante dei nemici, uscivano fuori armati gridando: «Addosso! Addosso!» Pochi colpi di fucile a bruciapelo, e gli austriaci sgombravano la singolare posizione lasciandovi qualche cadavere.

Ma la grande azione pareva, in quell’ora angosciosa, senza speranza. Per due notti ed un giorno le nostre truppe si erano battute nell’orrore artico delle vette, e si trovavano arrestate dall’impossibile, inchiodate sotto ad un declivio di ghiaccio, imbucate nel ghiaccio, dominate, decimate, in formazioni sconvolte dalle perdite. Avevano però la forza di una decisione sublime.

E le aspettava il trionfo in condizioni che hanno del meraviglioso. Le aspettava un’ora di esultanza così grande, che coloro che sono morti nel momento della vittoria hanno conservato sul volto di cera una espressione ineffabile di gioia grave. Portano nella tomba un