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LA VITTORIA.

30 marzo.

Alla mezzanotte del giorno ventisei, il nostro attacco per la riconquista della vetta del Pal Piccolo pareva fermato senza speranza a pochi metri dalla cresta.

L’ultimo balzo era impossibile.

Le granate a mano austriache cadevano giù a cinque a sei alla volta e un rimbombo assordante e continuo faceva urlare gli echi della montagna, fra le pareti immani dei massicci, incanutiti di ghiaccio, che profilavano nel buio le loro fantastiche moli accese dai bengala come da un prodigioso plenilunio.

Si dovette rinunziare ad ogni altro tentativo di avanzata, pur comprendendo che il ritardo rendeva sempre più forte l’occupazione nemica e logorava irreparabilmente le ultime energie dell’assalto. La notte era freddissima, e di tanto in tanto un nevischio gelato turbinava sui nostri soldati rannicchiati e immobili.

Le mitragliatrici austriache continuavano a spazzare i camminamenti, lungo i quali salivano le carovane che portavano munizioni. Lo sgombro dei feriti era difficile. Nella notte infernale si andava accumulando sopra di noi,