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132 la battaglia fra le nevi


più pesante e più freddo delle nevi, un gravame di angoscia. All’una del mattino, il comando ha trasmesso un ordine.

La cresta da riconquistare declina a sinistra in un costone scosceso, lungo il quale corre la continuazione delle nostre trincee, difese da bersaglieri e da alpini. Il comando ha ordinato a queste truppe di risalire il costone e portare l’attacco direttamente alla sinistra del nemico. La distanza è breve ma l’ascesa è dura; masse enormi di neve, gettate dalle tormente, hanno fatto del costone una specie di lama tagliente e bianca, regolare come la piega di un gran manto candido gettato sulle spalle della montagna.

Due plotoni alpini, muniti di racchette ai piedi, dovevano aprire il sentiero. Ma quanto tempo sarebbe durata la marcia? Si trattava di procedere in certi punti con la neve fino al petto, tirandosi su e aiutandosi l’uno con l’altro, lavorando delle ore per avanzare di pochi metri, sul bordo di pendìi precipitosi. Il tempo trascorreva, lento, tormentoso, e non si avevano notizie. L’ascesa, in un silenzio profondo, procedeva invisibile, misteriosa. Spuntò l’alba.

Era una di quelle albe fosche, cineree, gelate, lugubri, nelle quali la montagna mette paura tanto è truce, sinistra, scolorata, tutta piena di un senso di morte. Il combattimento continua nella immobilità. Le nostre artiglie-