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sul vertice del monte nero 197


no scesi a riceverci festosamente all’entrata del loro paese di ghiaccio.

Una delle cose più sorprendenti della nostra guerra di montagna è il buon umore, la contentezza, l’aria di «si sta bene così», che hanno gli uomini che la combattono. Isolati fra le nubi, nel furore degli elementi essi si costruiscono una vita attraverso sforzi inauditi, e questa vita la trovano bella, e la amano. La amano perchè è una vittoria perpetua, il trionfo di ogni giorno. Ci si aspetta un’atmosfera tragica sulle vette tormentate, divise dal mondo da tutti gli orrori e da tutti i pericoli delle altitudini, ed arrivando ci si sente in una calma lieta, che emana come un calore dagli animi di chi ci accoglie. Giunti quasi all’inaccessibile, in mezzo a quella forte serenità degli uomini che vi vivono, la montagna sembra meno minacciosa, meno terribile. La sentiamo comandata, dominata, vinta sotto a noi.

«Ben arrivati! Avanti!» — ed eccoci in una oscurità strana, soffusa di riflessi lievi, ora verdastri e ora perlacei, fra scabrose muraglie di vetro, sotto ad una vôlta irregolare e traslucida, mormorata da pallide trasparenze, salendo in processione gli alti gradini, stridenti e bianchi, di una scala favolosa. «Ci vedete? Tenetevi alla corda!»

Annodata a dei paletti di ferro da reticolato piantati nelle pareti, una corda incrostata e gonfia di ghiaccio offriva l’appoggio delle sue