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198 la montagna dalle folgori

cèntine. «Avreste dovuto vedere l’altra sera che illuminazione qui dentro! — raccontavano strada facendo gli ufficiali che ci guidavano. — Ognuno di questi paletti aveva un pennacchio di fuoco. Un temporale memorabile!»


Era il temporale che mi aveva trattenuto giù a Drezenca. La folgore aveva dato agli ospiti della vetta una delle sue magiche feste con luminarie. Tutti gli oggetti di metallo mandavano faville violette e azzurre. Delle luci sprizzavano dai capelli delle persone, con un fruscìo sottile. Le armi erano state adunate lontano dagli uomini, e le scariche elettriche facevano esplodere cartucce nelle giberne attaccate alle pareti. I bossoli scoppiati hanno tutti un piccolo foro di fusione che pare fatto da una punta ardente. Anche delle cariche da cannone si infammavano. La saetta entrava nei ricoveri: uno schianto metallico, un barbaglio accecante, un odore di ozono. Non rimaneva altro segno che delle venature carbonizzate sulle travi. Passando per le gallerie si era rovesciati dalla scossa. Undici uomini sono rimasti scottati. Fuori l’uragano pareva volesse svellere la montagna.

La prima apparizione dei fuochi di Sant’Elmo avvenne lassù in una notte di estate, poco dopo la conquista. I soldati erano fuori al lavoro. Palpitava nel cielo coperto quel balenìo senza tuono delle nottate nuvolose e cal-