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sul vertice del monte nero 199


de. Improvvisamente sulle punte delle baionette delle sentinelle comparvero delle aigretles di scintille. Creste di luce si formarono sui cappelli, dei vividi zampilli oscillarono sulle penne d’aquila. Un ufficiale levò una mano, e le punte delle sue dita si accesero. Vi fu nelle truppe un minuto di spavento. Ma le spiegazioni degli ufficiali persuasero e interessarono. Poco dopo tutti gli alpini erano con le mani in aria per vederle sfavillare. Poi il temporale si addensò, si scatenò, e cominciò la parte più fragorosa della festa. Da allora uomini e saette vivono in buona compagnia sul Monte Nero. Ma dopo il disgelo si esperimenteranno sui ricoveri delle reti metalliche studiate per la dispersione delle energie elettriche. Si metteranno dei reticolati contro il fulmine come contro il nemico.

Per lunghi tratti nelle gallerie che ascendevamo si addensavano le tenebre. Quei chiarori tenui che filtravano attraverso il ghiaccio e che sembravano una pallida fosforescenza delle pareti, si estinguevano. Passavamo nella opacità di strati enormi, sotto a spessori di decine di metri di neve, dove la pressione delle grandi masse gelate deforma e restringe lentamente i cunicoli. La vôlta, tutta bozze, scende un po’ più ogni giorno, senza scosse, gradatamente.

«Due giorni fa qui si passava in piedi!» — ci dicevano. E dovevamo invece curvarci, andar quasi carponi, strisciando col dorso e con i gomiti su frigide levigature, afferrati alla