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200 la montagna dalle folgori


corda che intirizziva le dita, sentendo lo spazio diminuire ancora nel buio, imbarazzati ad ogni gesto dal contatto più serrato del gelo, presi come dall’assiderante angustia di un incubo. «Quando si esce dal nero?...» — «Ora, una cinquantina di gradini e poi ci si rivede!»

Infatti, lontano lontano appariva un barlume azzurro e nebuloso, e rientravamo a poco a poco in quella luce da acquario, più viva in certi risvolti della stretta spelonca, in fondo ai quali s’intuivano spiragli di sole.

Di quando in quando, dove l’altezza delle nevi non è eccessiva, vi sono aperture nella vôlta per lasciar penetrare l’aria e il giorno. Ma vi penetra anche il nevischio, polveroso e leggero, che al minimo vento si accumula, turbina nelle gallerie, le spessisce e le chiude. Tutte le sere, quando gli ufficiali lasciano la mensa che li riunisce e s’incanalano per i meandri del labirinto diretti ognuno alla sua sede, alla sua tana, trovano invariabilmente la strada murata da soffici ammassamenti.


Chiamare allora le squadre a lavorare di pala sarebbe troppo lungo. Ricorrono ad un sistema più sbrigativo. Chi deve passare si lega una corda alla cintura, e, mentre i compagni tengono la corda all’altro capo, egli si slancia sull’ostacolo a testa bassa, con tutto l’impeto; s’immerge nello sbarramento molle