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226 la guerra nell’aria


nerea del porto. «Che succede?...» — chiedeva il megafono di una nave da guerra ancorata vicino. Informata, essa issava ai pennoni segnali di bandiera. Lontano rombavano i primi colpi delle artiglierie antiaeree e, di tanto in tanto, echeggiava cupamente l’esplosione delle bombe nemiche. Usciti dai loro nidi, gli aliscafi italiani salpavano uno dopo l’altro sfiorando il mare.

Il primo a slanciarsi, perchè più pronto, è stato l’idrovolante di guardia, l’«H. 965». Lo montavano due giovani marinai, due ragazzi quasi, un pilota militare e un motorista torpediniere. Esili, svelti, imberbi e serii, con i capelli castani e lo sguardo chiaro e risoluto, i due compagni di volo hanno fra loro una somiglianza strana che li fa parere fratelli.

Nella fretta il pilota aveva dimenticato il casco. Volava a testa nuda, scapigliato dalla bufera della velocità. I suoi grandi occhiali da aviazione, il cui nastro era troppo largo senza il sostegno del turbante di sughero, gli scendevano ad ogni momento sulla bocca. Egli li rimetteva al posto con un gesto impaziente e rapido. L’apparecchio si innalzava veloce.

Improvvisamente il motore si è fermato. La prora al vento, l’idroplano è disceso a posarsi sulle onde. In piedi sullo scafo sballottato, i due aviatori hanno cercato febbrilmente il guasto che li aveva fermati. Niente di grave: il galleggiante di un carburatore si era immobiliz-