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la rappresaglia 227


zato. Due minuti di lavoro. Via! L’elica ha ripreso il suo canto eguale e vigoroso e, lasciato per la seconda volta il mare, l’«H. 965» è balzato verso le nubi. Due idrovolanti austriaci lo hanno scorto e gli sono andati sopra.

Erano due apparecchi distaccati dal nucleo, che giravano al largo e avevano l’aria di far la guardia, pronti a dare l’allarme agli altri intenti a bombardare le case, gli ospedali, la gente inerme delle vie, ed altri simili obiettivi militari. Infatti, scorgendo gli idrovolanti italiani che venivano su, uno dei due nemici in vedetta, forse il capo-squadriglia, ha cominciato a fare dei segnali; lasciava cadere lunghi razzi di fumo che si svolgevano come nastri bianchi. Dovevano significare: Attenti, che viene la polizia! Intanto i due austriaci cercavano di dar la caccia all’italiano più vicino, all’«H. 965». Manovravano in modo da sovrastarlo. Sventando le loro manovre, l’idroplano bianco rosso e verde saliva sempre, impavido.


Alla destra del pilota, l’osservatore seguiva le evoluzioni degli austriaci e gridava nell’orecchio del compagno le indicazioni di rotta. Più rapido degli avversari il nostro apparecchio sfuggiva, deviava con voltate repentine, e saliva, saliva. Quando ha creduto di avere i nemici a portata di tiro, dal basso ha aperto il fuoco con il suo cannoncino, disposto come un pezzo navale sulla prua di un battello. Ma