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la rappresaglia 233


l’ufficiale in seconda di un sottomarino francese, il Bernouilly, di guardia al periscopio, annunziò: «Fumo all’orizzonte, dritto a prora».

Il comandante, un giovane calmo, modesto ed ardito, dal volto raso, pallido, bruno e fine, ha preso posto all’apparecchio di osservazione. Nel minuscolo compartimento di comando, dalle pareti ricurve piene di quadranti indicatori, di tavole di commutazione, percorse per ogni dove da fasci di trasmissione elettrica bianchi come fasci di nervi, in quello spazio breve, illuminato da lampade ingabbiate, ingombro di ruote timoniere, mobiliato di macchine misteriose e delicate percorse da graduazioni minute, in quell’atmosfera greve, affannosa, chiusa, satura di sensibilità, gli uomini che la monotonia e la stanchezza avevano appesantito in un leggero torpore, si sono risvegliati e irrigiditi nella tensione dell’attesa, le mani posate sugli strumenti di comando per essere più pronte alla manovra.

Silenziosamente una specie di colonna di acciaio scendeva dalla vôlta: il largo periscopio da esplorazione, che torreggia come una piccola ciminiera sull’acqua quando nulla è ancora in vista e che sorveglia lontano, rientrava nel dorso del sommergibile. Rimaneva a fior d’acqua il piccolo periscopio da battaglia, che vede tutto più pallido, più piccolo, più incerto, ad intervalli, fra onda e onda.

Troppo tardi. Il grosso tubo era stato visto