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squadriglia in missione 257


un dorso lucido, oscuro e veloce, è apparso a fior d’acqua.

I marinai lo riconoscono subito, e ridono: un delfino. Nei primi tempi della guerra avrebbe provocato forse un colpo di cannone. L’anno scorso una famiglia di narvali superbi, indifferente alle lotte umane, si era imprudentemente stabilita nelle vicinanze di una nostra rotta. Ha avuto un’esistenza molto agitata. Allora il mare appariva ancora pieno di cose ignote. La vigilanza lo rivelò. I marinai lo guardarono con occhi nuovi. Lo avevano tanto visto che non l’avevano mai osservato. Sapevano affrontarlo, attraversarlo, combatterlo, ma non ne conoscevano la vita profonda, gli aspetti mutevoli, le forme fuggenti, tutto quello che vi appare, che vi affiora, che vi nuota. A furia di interrogarlo si è svelato; l’acqua narra i suoi misteri, dice se una cosa lontana oscilla inerte od ha una volontà, se è parte di un gran corpo immenso o se galleggia tutta; e ogni moto, ogni oscillazione, ogni colore, ogni spumeggiamento, racconta le sue ragioni alla vedetta silenziosa.

E poi, anche il sommergibile nemico è diventato familiare, è stato visto in tutti i modi, in tutti i tempi, se ne conoscono le abitudini e il carattere, si sa che è presuntuoso, timido, traditore e curioso. Curioso come una femmina. Ha bisogno sempre di metter fuori quel suo occhio fantastico, che va sull’acqua come

Barzini. Fra le Alpi, ecc.