Pagina:Barzini - Sui monti, nel cielo e nel mare. La guerra d'Italia (gennaio-giugno 1916), 1917.djvu/284

Da Wikisource.
274 lettere dal mare

che scorrono. Tutto va bene. La terra è riconosciuta. La nave vira ancora. Si è orizzontata, ha capito, è sicura. Ha riconosciuto la strada.

Dopo qualche minuto la terra nemica appare a tutti gli sguardi. È una striscia lunga, incerta, nuvolosa. Sembra uno di quei folti strati di fumo che i piroscafi lasciano all’orizzonte quando la calma è assoluta. A poco a poco un’altra massa fosca appare sulla destra. Trascorre qualche tempo, ed ecco che da ogni parte, lontana e vicina la terra emerge, bruna, fatta d’ombra. Isole di oscurità, imprecise barriere di tenebre si formano successivamente a chiudere il passo. Alcune si spostano più veloci, si precisano, pare che vengano in avanscoperta, passano sul fianco. Altre tenui, brumose, vaghe, si schierano nella lontananza. La squadriglia naviga ora nelle acque interne di un arcipelago, penetra nei rifugi più nascosti del nemico. Il mare si è fatto quieto come un lago.

Vien fatto di guardare alle terre con l'attenzione di chi scruta una mossa, quasi che fossero loro ad aggirarsi intorno alla nave ferma, e si sentisse una volontà impenetrabile in quelle forme giganti. Un baleno azzurro brilla per un attimo in qualche punto alto dell’attrezzatura del cacciatorpediniere. È un segnale agli altri. La squadriglia rallenta. Fende l’acqua quasi senza rumore. Deve passare a qualche miglio soltanto da una punta fortificata. Eccola. Si