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288 lettere dal mare


curiosamente dal boccaporto di prua. Un comando le interrompe, gridato al portavoce:

— Regolare l'assetto!

Si ode il brontolìo sordo ed eguale delle turbine elettriche che lanciano l’acqua nei serbatoi di poppa e di prora per dare al battello l’equilibrio della navigazione subacquea. Improvvisamente un urlo.

Una voce alta, selvaggia, breve, inumana, risuona nelle viscere del sottomarino. È il segnale di allarmi: un grido di sirena fatto per essere udito nel reparto delle macchine, pieno di tumulto, una voce imperiosa che significa: Pronti!

Un grave silenzio. I motori si sono quietati di colpo. Il fruscio dell’acqua solcata cessa, la scia si estingue, il «V.L.A.» rallenta la corsa, si ferma. Con un ronzìo canoro un ventilatore scaccia dall’interno l’aria corrotta dalle esalazioni dei motori a nafta.

Gli uomini che erano sul ponte sono scivolati dai boccaporti, giù per le ripide scalette di ferro dai poggiamano untuosi, e gli ultimi hanno avvitato i portelli. Nel reparto di manovra, pieno di una quieta luce di veglia che irradia dalle lampadine elettriche, tutti aspettano il comandante, muti, attenti, le mani sulle leve e sulle ruote. Egli scende dopo gli altri, per la scala della torretta come da una botola, e fa le domande sacramentali. La sua voce risuona stranamente nella cavità metallica: